Sfatiamo un mito: la bonifica di Metaurilia non fu una bonifica idraulica. Purtroppo.

Bonifica: quale bonifica?

Novembre 1979. L’orto 94 sott’acqua  (Fano Stampa, 1-1980)

Quella di Metaurilia non fu una bonifica idraulica. Stravolte le carte in tavola nel giro di una settimana e cambiata improvvisamente location dalla sera alla mattina,  non solo non ci fu il tempo materiale per avviare alcuna opera idraulica, ma nelle carte non c’è neanche una riflessione sui pericoli idraulici dell’area individuata  per la nuova borgata rurale. L’unica urgenza, relativamente all’acqua, è che ce ne  fosse abbastanza per irrigare gli orti. La falda a due metri consentì grandi risparmi nella realizzazione dei pozzi nell’immediato,  ma procurò i gravi costi sociali che i residenti ed i cittadini pagano ancor oggi a caro prezzo.

In azzurro i fossi presenti a Metaurilia negli anni Trenta, ed oggi ancora esistenti, anche se in parte tombati e trascurati. In giallo, tra gli orti 42-43 un fosso preesistente eliminato nel 1935 al momento dell’insediamento dei coloni, e tra l’orto 27-28 il fosso richiesto dai Metaurili nel 1947 a causa dei continui allagamenti, ma mai realizzato.

Le leggi per le bonifiche del Ventennio

“Ciò premesso era naturale e logico, che in questo clima fascista che ha creato l’ambiente propizio alle più rapide e sicure realizzazioni nel campo economico e sociale, si rendesse possibile di attuare un piano di bonifica agraria avente per iscopo la costituzione di una efficiente borgata rurale”. (Del Vecchio)

E’ onesto il Podestà Augusto Del Vecchio. La definisce «bonifica agraria». La borgata rurale di Metaurilia infatti non nacque  affatto come bonifica “idraulica”. Non partì con il Testo Unico del 1923, “sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi“, dove nell’elenco dei territori beneficiari, per le Marche è riportata soltanto una voce: “Zona suburbana litoranea di Pesaro“. E neanche con la legge Mussolini, la n. 3134 del 1928 sulla bonifica integrale. Che aprì però al concetto di borgata rurale e dispose finanziamenti per opere di irrigazione, strade interpoderali, approvvigionamenti di acqua potabile. Non solo opere di bonifica idraulica quindi. Diede vita comunque ad un vivace dibattito locale: nell’ottobre del 1928 il podestà di Fano convoca il podestà di Mondolfo, la Scuola Agraria e la Cattedra Ambulante per valutare l’ipotesi di un Consorzio di Bonifica tra Metauro e Cesano, lungo la costa per la profondità di 1 km. Ma a giugno del 1929, su iniziativa della Federazione Fascista degli Agricoltori, il Prefetto lancia un’ altra ipotesi: un Consorzio di Irrigazione della Bassa Valle del Metauro tra la Flaminia e il fiume, per 4000 ettari complessivi nei comuni di Fano, Cartoceto, Saltara, Serrungarina, Montefelcino, Fossombrone, ed ottiene unanime consenso e l’interessamento dell’onorevole. Il progetto è complesso e ambizioso (20 milioni di lire la stima) e si arena sul nascere: la Grande Depressione del 1929 ed il Terremoto del 1930 bloccano qualsiasi iniziativa.
La nuova legge Serpieri n. 215 del febbraio 1933, rimette in gioco il territorio fanese, aprendo i finanziamenti della bonifica non solo a quella idraulica, e montana, ma anche alla bonifica di terre latifondiste, da trasformare in poderi a coltura intensiva.

Art. 1 Alla bonifica integrale si provvede per scopi di pubblico interesse, mediante opere di bonifica e di miglioramento fondiario. Le opere di bonifica sono quelle che si compiono in base ad un piano generale di lavori e di attività coordinate, con rilevanti vantaggi igienici, demografici, economici o sociali, in comprensori in cui cadano laghi, stagni, paludi e terre paludose, o costituiti da terreni montani dissestati nei riguardi idrogeologici e forestali, ovvero da terreni, estensivamente utilizzati per gravi cause d’ordine fisico e sociale, e suscettibili, rimosse queste, di una radicale trasformazione dell’ordinamento produttivo. Le opere di miglioramento fondiario sono quelle che si compiono a vantaggio di uno o più fondi, indipendentemente da un piano generale di bonifica.

Grazie ai particolari sussidi per opere di miglioramenti fondiari, nelle Marche fu tutto un fiorire di costruzioni rurali e di impianti volti all’agricoltura, dando nuova fisionomia alle campagne della regione. Inoltre la legge 478 del 1930 assimila Province e Comuni ai Consorzi per l’affidamento delle concessioni alla bonifica, consentendo di fatto l’avvio del progetto fanese che fu appunto “opera di miglioramento fondiario”e purtroppo niente di più.

Aree golenali nei pressi della foce del Metauro allagate negli anni 1896/97

Un terreno improvvisato

L’Ora del 14 aprile 1934. Nascita di un’idea di Borgata di Orti.

Il progetto redatto dal Comune per mano del geometra Servigi e presentato pubblicamente il 14 luglio 1934 consiste in nient’altro che un massiccio appoderamento (sono previsti 200 orti)  dei terreni della congregazione di Carità, in Riva Sinistra del Metauro. Non è prevista alcuna opera di bonifica idraulica. Anzi, si prevedono addirittura orti a case anche nelle aree golenali ora “protette” dai nuovi argini del fiume Metauro, che si crede così domato e vinto per sempre. L’unico intervento idraulico è quello volto a garantire l’irrigazione degli orti: un acquedotto con pompa di sollevamento dal fiume Metauro ai terreni dove negli anni Sessanta sorse lo Zuccherificio. Questa unica opera idraulica fu la causa della bocciatura del progetto da parte del Ministero, che per essa chiedeva, com’è logico, il Parere del Genio Civile. E’ il 20 luglio del 1934 ed il Comune, velocemente cambia “location”: la borgata nascerà in riva Destra, e neanche 20 giorni dopo posa la prima pietra 2 km più a sud la ditta Pedini. In 20 giorni nessuno ha preso zappa e piccone per “bonificare” gli “acquastrilli” di Metaurilia, nessun nuovo fosso, nessuna opera di drenaggio, nessun movimento terra. E a novembre le prime case sono pronte.

14 luglio 1934. Il progetto di appoderamento, in riva Sinistra. Si noti la fitta maglia di orti anche nelle vecchie aree golenali del Metauro, dove oggi ci sono le vasche di decantazione dello Zuccherificio in riva Sinistra, e dove poi furono effettivamente costruite le casette in riva Destra (via della Tombaccia).

Bonifiche fatte da chi?

10 giugno del 1939.  Allagamenti e affioramenti.

Dai ricordi dei Metaurili appare chiaro l’aspetto del territorio al momento del loro insediarsi, nella primavera del 1935. Il bando per l’assegnazione delle casette non riscosse il successo atteso perchè la gente era assai diffidente. I Mencucci dell’orto 83 vennero avvisati da alcune operaie dei magazzini ortofrutticoli: “Ma cosa ci andate a fare? E’ come l’Abissinia laggiù. Ci sono le paludi, non è sano“.

Olga Palazzi, dell’orto 43 raccontava che  prima della “bonifica” Metaurilia era tutta un acquitrino. Le macchine, sulla Statale Adriatica, ad un certo punto si impantanavano. Arrivava così Sorcinelli (detto Marcantugnin) con un paio di buoi e trascinava l’auto all’asciutto. I coloni degli orti più vicini alla foce ricordano il “Lagon” di là della ferrovia, dove cacciavano le anatre, bagnavano la canapa, raccoglievano il “vench”, per confezionare i canestri. Aiudi, patito per la caccia,  sceglie appositamente l’orto 15 perchè c’è un piccolo lago sempre pronto per la “nocetta”. Più volte questi terreni sono finiti sott’acqua: nel 1938, nel 1944, nel 1947, nel 1966, nel 1978, nel 2006 quando per la rottura degli argini del fiume, quando per l’incapacità dei fossi di ritenere l’acqua, quando per affioramenti della falda, che si trova a soli 2 metri dal piano campagna. Achille Alessandri dell’orto 11 raccontava che il terreno era tutto un “acquastrillo” , una palude piena di “canniccie”. Lui e la moglie lavorarono di vanga e zappa duramente, per creare canaline, riempire pozzanghere, estirpare canne ed ottenere un terreno “tant’e quanto”. Ad aiutarli anche “l’opera”, ovvero parenti e braccianti che in cambio di un pasto caldo prestano appunto la loro “opera”. Anche i  Pucci dell’orto 79 ricordano che la terra era piuttosto paludosa, piena di “acquastrilli” e che l’hanno bonificata le famiglie, col sudore della fronte.

Allagamento degli orti 40 e 41, dopo la Chiesa in direzione Torrette, lato mare

La pulizia dei fossi

Le uniche opere di “bonifica” formale presenti a Metaurilia sono quelle realizzate dalle Ferrovie in occasione della costruzione della linea Adriatica, nel 1861: un fosso parallelo alla massicciata e 5 sottopassi idraulici, 3 verso la foce, e 2 verso Torrette. Con la sistemazione della Statale Adriatica alla fine degli anni Venti fu realizzato un doppio fosso parallelo alla Statale. Negli stessi anni fu realizzato l’argine del fiume dando l’illusione di aver “redento” all’agricoltura le aree golenali, quelle che oggi sono dichiarate esondabili dal PAI e che tanti guai procurano agli abitanti delle casette più prossime al fiume, irresponsabilmente e frettolosamente costruite negli anni tra il 1936 e il 1939. Inoltre i cinque passaggi idraulici al di sotto della ferrovia in corrispondenza dei fossi vedono in occasione delle mareggiate, l’acqua correre al contrario, allagare gli orti e bruciare con il sale le colture. Anche i Guidi  ed i Ferri degli orti 8 e 7 lamentano che nei giorni di burrasca dal sottopasso arrivano acqua e detriti  che formano una “ligheranera di cumuli di rifiuti. Biagioni dell’orto 16 racconta che gli venne assegnata una delle ultime casette del I lotto, quella che non voleva nessuno, perchè dal sottopasso del fosso entrava l’acqua del mare che seccava la vigna.

Le famiglie coloniche si ritrovarono così con un terreno ancora tutto da bonificare, arare, fresare, livellare. Per l’indispensabile drenaggio dell’acqua crearono dei fossetti a dividere un orto dall’altro che confluivano in quello lungo la ferrovia. I coloni delle casette nei pressi della foce realizzarono un ulteriore fosso sul retro della casette parallelo alla Statale.

Cecchini ed Anniballi degli orti 13 e 14 raccontano che ad un certo momento dell’anno i capifamiglia si radunavano per pulire insieme tutti i fossi irrigui. Menotta dell’orto 18 e Gambelli dell’orto 67 ricordano che ciascuno puliva con diligenza il proprio fosso e ci si aiutava. Quelli della fabbrica della conserva pulivano invece  il fosso lungo la ferrovia, da loro ampiamente utilizzato. Rinaldo Gambelli e Rastlet dell’orto 91 pulivano i fossi anche di altri ortolani per arrotondare così le entrate dell’orto.

Nella zona di Tombaccia i Mencucci dell’orto 113 raccontano che bisognava curare la manutenzione delle piante nell’area confinante con il demanio fluviale e che ogni tre anni c’era l’obbligo di potare le piante e tenere pulito il fosso che correva lungo l’argine, lato monte.

I fossi erano anche fonte di divertimento e di sorprese: per i bambini Sorcinelli, dell’orto 23 un bel gioco era anche quello di andare a caccia di ciambotti e girini lungo il fosso che corre a fianco della ferrovia. Ferri dell’orto 7 racconta che quando si puliva il fosso e si tagliavano le canne spuntavano distese di giunchiglie gialle. I fossi facevano anche da “deposito” delle anguille pescate vive, in attesa del Natale.

I fossi lungo la Statale rappresentano un criticità anche in altro senso: il dislivello inatteso ha procurato negli anni diversi incidenti, legati tra loro da un unico filo: il conducente della vettura ubriaco sbanda e cade nel fosso o procura la caduta nel fosso di qualcun altro. I Gramolini dell’orto 80 raccontano che il traffico pesante degli Anni Sessanta procurava un tale spostamento d’aria che spingeva i pedoni nel fosso. A volte invece diventava la salvezza: don Paolo Gramolini, dell’orto 75,  ricorda un giorno che andando a scuola a Torrette tirava un tale vento di bora che i bambini presero  a camminare nel fosso lungo la Statale, per non essere trascinati via dalla furia del vento.

1947. Richiesta di un fosso di scolo con sottopasso idraulico tra l’orto 27 e il 28, mai realizzato.