Fano città potente: cavoli a levante e broccoli a ponente

Il perchè di un successo

Anni Sessanta. Il copioso raccolto dei cavoli nell’orto 113.

La felice intuizione che legò Metaurilia al cavolfiore tardivo, portò l’intera economia di Fano a girare vorticosamente attorno agli orti: sorsero come funghi, in ogni contrada e frazione, magazzini per la lavorazione dell’ortofrutta  che diedero lavoro a centinaia di operai e soprattutto di operaie. Nacquero ben cinque segherie per la realizzazione delle cassette di legno per l’imballaggio dei cavoli, prima tra tutte quella di Vecchione. Produttori, trasportatori, esportatori e mediatori, un business che rese Fano famosa anche sui Sussidiari dei bambini degli Anni Sessanta, dove alla pagina dedicata alle Marche, Fano compare come “la Città del cavol…fiore”.

Le ragioni del business

Il logo della ditta esportatrice di ortofrutta di Attilio Rupoli (Archivio Tonelli)

Il motivo del gran successo del cavolfiore tardivo è il fatto che offre vegetali freschi nelle stagioni più fredde.

La Germania e tutta l’Europa del Nord che amano il cavolfiore, ma hanno un clima invernale proibitivo per la coltura, rappresentano un mercato molto promettente per i fanesi. I primi ad accorgersene sono i fratelli Rupoli, che al principio del Novecento trasportano via mare cavoli a Pola e Zara, ancora austroungariche. Ma anche Girolamo Solazzi, possidente nel fanese e gran cacciatore, nelle sue battute di caccia nel nord Europa, e sulle tavole di principi e re, intuisce il potenziale di questa coltura.

Il possidente Girolamo Solazzi (il sor Momo, secondo da sinistra) vigila il processo di esportazione del prodotto. (Archivio Codma)

La ferrovia, operativa già dal 1861, permette il trasporto dei cavoli in quantità di molto superiore ai “trabacoli” e con tempi molto più celeri a garanzia della freschezza. Ma i vagoni vanno riempiti completamente, per essere remunerativo il trasporto. Così viene coinvolta l’Accademia Agraria di Pesaro e la Cattedra Ambulante Provinciale di Urbino perché promuova la coltivazione di questo straordinario ortaggio. A tal fine pubblicano nel 1903 sul “Pungolo” un lavoro dal titolo “Una nuova coltura per noi”.

La regina del tardivo

1939. Una casina di Metaurilia circondata di piante di cavolfiori. (Biblioteca Federiciana)

Il contratto firmato nel 1939 impone a tutti i Metaurili di fare gli ortolani, e di produrre il cavolfiore tardivo, alternandolo con il pomodoro tondo liscio. L’intento dei potenti di Fano, ideatori della Borgata, è quello di accrescere esponenzialmente la produzione di cavolfiore ed incrementare le esportazioni verso l’Europa del Nord. L’obiettivo viene raggiunto in brevissimo tempo: l’esportazione di cavoli fanesi con Metaurilia triplica: ai 50 ettari dedicati alla coltura del tardivo presso gli orti Bracci di Sassonia si aggiungono i 115  ettari dei Metaurili. Metaurilia diventando la regina dei cavolfiori, porterà benessere alle 115 famiglie coloniche e ad una città intera la cui economia gira vorticosamente attorno agli orti.

Anni Cinquanta. Una colonna di camion carichi di cassette di cavolfiori alla Stazione Ferroviaria di Fano, pronte a partire per la Germania e l’Europa del Nord. (Archivio Codma)

Un primato conteso

Anni Venti. Giovanni Rupoli, coi figli Attilio, Romeo, Fortunato e Alberto, tutti impegnati nel commercio ortofrutticolo.

L’operazione «Metaurilia» è un successo  del quale si contendono i meriti in tanti.  Questa infatti  la lettera che il Podestà di  Fano il 5 aprile 1943 invia a tutte le aziende esportatrici:

 “E’ giusto che un valido contributo mi sia dato anche da chi in questo momento trae grandi utili da una industria che si può ben a ragione dire creata dal Municipio di Fano con la costruzione della borgata Metaurilia, ed estesa poi, a colpo sicuro, da molti proprietari e industriali dopo le prime felici prove, ed è anche giusto che da tante ricchezze il primo a trarne profitto sia il popolo di Fano, soprattutto il popolo di Fano.

Perciò per ogni cima di cavolo esportato riserverete anche al Comune di Fano un centesimo, e per ogni quintale di pomodoro centesimi cinquanta, per mettermi nella possibilità di svolgere tutte le opere di bene che è dovere e necessità compiere, senza l’obbligo mortificante di chiedere la carità a Enti non cittadini.”

Tutte le aziende aderiscono, anche Rupoli Romeo che però precisa:

“Aderisco alla richiesta fatta […]. Con l’occasione, mi permetto di far presente, che il vero creatore dell’industria è stato lo scrivente, il quale ha il merito di averne incrementata la produzione attraverso mezzo secolo di appassionato lavoro, e che attraverso la propria organizzazione ne ha fatto un prodotto apprezzato e ricercato nelle piazze estere”.

1951. Titolo di socio della cooperativa ortofrutticola “Romeo Rupoli” appartenente ad Olvido Bracci dell’orto 90.

Successo e declino

Operai addetti all’imballaggio ed al carico dei cavolfiori (Archivio Codma)

Visto il successo degli orti, anche coloni e mezzadri cominciano a dedicare qualche ettaro dei loro ampi poderi alla produzione del tardivo di Fano, pagato a peso d’oro in primavera. Molti contadini ed ortolani,  grazie ai cavolfiori, acquistano la prima moto, la prima auto, si rifanno la casa.

Così dai 18.000 q.li del 1923 si arriva ai 350.000 q.li del 1966, quando partono da Fano, tra febbraio e maggio, 3.200 vagoni ferroviari stipati di cavolfiori. Un giro economico che nel 1966 coinvolge 1.100 ettari di terreno dedicato, dal mare alla collina, 5 ditte esportatrici, 4 cooperative tra ortolani e contadini, 50 magazzini di lavorazione e 5 fabbriche di imballaggio, 30 ditte con 2.500 operai per la cernita, la lavorazione e l’ ingabbiamento, e con un ricavato di circa 2,5 miliardi di lire di allora.

Ma mentre l’ortolano assicura una cura minuziosa al suo piccolo appezzamento, il contadino  per la vastità del suo podere e la differenziazione delle coltivazioni e delle attività, rischia di operare a discapito della qualità. La concorrenza delle campagne a lungo andare impoverisce l’ortolano: il prodotto esportato aumenta in quantità e perde di qualità, deprezzandolo. Inoltre, mentre il contadino ha l’opportunità di recuperare le entrate con altre produzioni, per l’ortolano il cavolfiore è una monocultura che rischia di diventare antieconomica.

Nella seconda metà degli anni Sessanta cominciano le difficoltà. Si fa sentire la concorrenza del prodotto francese, avvantaggiata dalla maggiore vicinanza al mercato tedesco. Si vivono anche per il nostro cavolfiore le pesanti esperienze delle “crisi di Mercato”: negli anni Settanta il prezzo di vendita è talmente calato che l’esubero di prodotto, raccolto nel piazzale di Metaurilia, viene distrutto coi trattori dall’AIMA (Azienda per gli Interventi sul Mercato Agricolo). Oltre al danno economico che produce, la situazione offende pesantemente chi ha lavorato e ha dedicato una vita ai cavolfiori, con le ovvie conseguenze di abbandono della coltura.