La pesca delle anguille: un’attività remunerativa, quando l’orto riposa.

E a Natale … il “capitone”

Nei fossi di Metaurilia, verso novembre-dicembre, si poteva veder galleggiare il “burchio”, simile ad una “batana” chiusa, colmo di anguille volteggianti in attesa del Natale. Per I Metaurili pescatori, la pesca delle anguille era un’attività invernale, assai remunerativa.

Anguilla o capitone

In realtà si tratta dello stesso pesce: gli esemplari maschi vengono chiamati anguilla, e sono più piccoli, mentre gli esemplari femmina, sono chiamati capitone, e sono quelli più diffusi. In Italia l’anguilla viene pescata soprattutto nelle lagune Venete e di Comacchio e nel lago di Bolsena. Si tratta di uno dei pesci più apprezzati e cucinati a Natale. Per questo i Metaurili pescatori dedicavano i mesi di novembre e di dicembre alla pesca dell’anguilla.

Batana, burchio e goffa

Metaurili a pesca sulla “batana” di Farnet, orto 83

La  batana è un’imbarcazione tradizionale dell’Adriatico centro-settentrionale in legno e lunga tra i 4 e i 9 metri, a fondo piatto. Erano dipinte di colori vivaci. Se il mare era mosso, cadendo nel cavo dell’onda battevano con fragore: da questo, si dice derivi il loro nome. I Metaurili con la batana, quelli che a buon diritto potevan dirsi “pescatori”, avevano scelto di abitare prevalentemente nell’intorno dell’unico passaggio a livello di Metaurilia, quello dietro la chiesa. Provenivano per lo più dalla Sassonia, dove avevano imparato a coniugare l’orto e la pesca sia nella fatica del lavoro, sia nei piaceri della tavola. Tra questi Farnet, dell’orto 83, Gramolini, dell’orto 80, e Trensin, dell’orto 79. Avevano le licenze necessarie anche per la pesca dell’anguilla. L’anguilla si pescava col gugul (cogullo), si trasportava in un cesto detto “goffa” e si poneva nel “burchi“, che assomigliava ad una batana chiusa. Mac’era anche chi riusciva a catturarle piratescamente tra le gorghe del Metauro. Le anguille pescate vive, aspettavano giorni o settimane a mollo nel burchio galleggiante in un fosso vicino casa, che arrivasse Natale, per saltare sui piatti della festa.

La “goffa” è un cesto idoneo al trasporto delle anguille, il “burchi” è una specie di batana chiusa che le custodisce vive, a mollo in un fosso di acqua dolce.

Un incredibile viaggio

Le anguille compiono un viaggio di 6.000 km per riprodursi e poi morire. I cuccioli appena nati compiono un analogo viaggio verso la terra d’origine dei genitori crescendo via via fino ai 6 cm. Una volte raggiunta l’acqua dolce cominceranno a crescere fino ad una media di 60 cm.

L’anguilla è lunga in media sui sessanta centimetri. E’ un predatore notturno, che rimane nascosto durante le ore di luce in un anfratto roccioso, sotto un riparo o sepolta nel fondale e che con il calare delle tenebre esce allo scoperto in cerca di invertebrati acquatici e pesci, sia vivi che morti. L’aspetto più incredibile dell’anguilla è il suo ciclo riproduttivo. L’anguilla vive in svariati ambienti d’acqua dolce, dai torrenti di montagna alle zone più calme dei fiumi, fino alle foci e alle aree costiere, come nei pressi della foce del Metauro. Ma quando giunge il momento di riprodursi, migra istintivamente verso il mare, non esitando a uscire dall’acqua e a strisciare sulla terraferma per superare ostacoli. Da ogni parte del Mediterraneo e dei mari del Nord frotte di anguille si dirigono verso un’unica meta a 4.500-6.000 km di distanza dall’Europa: il Mar dei Sargassi, al largo della costa orientale del Nord America. Dopo un estenuante viaggio, l’anguilla depone e fertilizza le uova, perdendo poi la vita per lo sforzo effettuato. Dopo la schiusa dall’uovo, l’aspetto dell’anguilla è molto diverso dall’adulto; la larva è lunga circa cinque millimetri e  trasparente.  Sfruttando le correnti oceaniche si fa trasportare verso i luoghi di origine degli adulti, un viaggio che può durare più di un anno. Una volta raggiunte le acque costiere  europee o africane il suo aspetto muta e assume una forma più cilindrica. A questo punto l’anguilla  si trasferisce nelle acque interne, dove assume un aspetto simile all’adulto. In questa fase passerà tra i quindici e i venti anni crescendo e nutrendosi in preparazione della sua grande migrazione. Questo incredibile viaggio per la continuazione della specie si è purtroppo rivelato il suo tallone di Achille: dighe e altri sbarramenti lungo i corsi d’acqua rappresentano spesso ostacoli insormontabili durante la migrazione sia degli adulti verso il mare che dei giovani verso l’entroterra. Non essendo in grado di riprodursi, l’anguilla è destinata a scomparire da quel tratto di fiume o lago.
A complicare le cose vi è la pesca eccessiva della specie, soprattutto durante le fasi di rimonta e discesa dei fiumi, quando gli individui sono più facili da intercettare. Le carni dell’anguilla sono infatti molto apprezzate e in molte regioni costiere la pesca della specie ha un alto valore economico e culturale da tempi immemori. L’inquinamento delle acque inoltre altera il metabolismo delle anguille, risultando letale per i giovani e rendendo gli adulti inadatti a compiere la migrazione. Queste cause hanno avuto un effetto pesante sulle popolazioni di anguilla, che si trovano nella fase critica che precede l’estinzione. Per questo la legislazione vigente ne vieta la pesca.  (Notizie tratte dal sito ttps://www.msn.unipi.it/it/lincredibile-viaggio-delle-anguille/)

Il “leptocefalo” è l’anguilla al primo stadio: nel suo viaggio dal Mar dei Sargassi ai mari d’Europa crescerà gradualmente e modificherà l’aspetto.