Ortolano e mezzadro: vite molto diverse, ma fortemente intrecciate.

Ortolani o mezzadri

In fondo al viale di Gelsi, la colonica Montanari, per tanti Metaurili il luogo delle feste.

Prima che Metaurilia divenisse Metaurilia, il territorio sopra e sotto il greppo era costellato di case coloniche appartenenti ai possidenti della zona: Solazzi, Massari, la contessa Matilde Saladini Montevecchio, sono tra questi. Ciascuna casa colonica era abitata da famiglie di mezzadri che coltivavano prevalentemente grano e foraggio su un terreno di circa 12-15 ettari. Grande fu il loro stupore nel veder nascere una borgata che assegnava a ciascuna famiglia un solo “misero” ettaro!

Le coloniche di Ponte Alto

Le case coloniche sopra il greppo non sono molte. Ciascuna famiglia con la sua presenza, con la sua storia, con i suoi mezzi ed i suoi spazi ha contribuito alla vita economica e sociale dei Metaurili fino a diventarne inscindibili compagni di vita e lavoro.

Prendendo il viale che dalla Statale passa per la cappellina di Sant’Egidio, dietro il Centro Scarpa, e si dirige verso la Madonna della Cupa si trovano le coloniche dei Lucarelli: la prima detta “Caslin da Bas“, la seconda “Caslin da Alt“. Dalla Cupa prendendo in direzione di Torrette la fascinosa strada Ponte Alto attraversa la campagna parallelamente alla Statale. Sulla sinistra si incontra la colonica dei Belogi (detti “Blog“) nel 1953 passata ai Paci (detti “Jacob“) dove si andava a scuola, poi quella dei Vitali (detti “Biagella“). Da qui si può tornare per altra via sulla Statale, sbucando proprio davanti al piazzale di Metaurilia.

Proseguendo invece sulla strada Ponte Alto verso il viale di Gelsi si trova sulla destra la colonica della famiglia Iacucci, e più avanti, sempre sulla destra, un viale di gelsi privato che,  in continuità con la bella strada dei Gelsi, porta alla colonica dei Montanari, la casa della “festa”. Se si torna alla Statale si incontra a destra, prima di scendere dal greppo, la colonica dei Romani, altrimenti si prosegue sulla Strada Ponte Alto ed ancora si incontrano le coloniche dei Diotallevi e dei Filippetti.

Questo territorio rurale  è miracolosamente scampato all’edilizia selvaggia subita da Metaurilia e conserva un fascino struggente. Le meravigliose case coloniche che lo puntellano ancora, sono in molta parte tristemente diroccate, memorie tangibili del passato, ricche ancora di un potenziale inespresso.

La colonica di Montanari, in fondo al viale di Gelsi, era costituita da un edificio più alto e rifinito, che ospitava il padrone quando desiderava fermarsi qualche notte, un edificio annesso più basso dove viveva la famiglia colonica, e due capanni.

1944. La famiglia Montanari posa davanti alla casa.

La casa delle feste

La colonica dei Montanari era la case delle feste. I Montanari erano una famiglia gioviale ed accogliente. I bambini delle coloniche vicine ed i loro amichetti ortolani si radunavano spesso qui in bande per giocare. Ai Montanari non dava fastidio, anzi, faceva piacere.

Durante la bella stagione montavano tra due grandi alberi sul retro della casa un’altalena enorme: ci si saliva in 4 o 5 ed era un divertimento per grandi e piccini, indimenticabile.

Se durante la trebbiatura ogni colonica faceva a gara nell’offrire il miglior pasto ai tanti lavoranti provenienti anche dalle case degli ortolani di Metaurilia, per la festa del Primo Maggio non c’era storia: si andava tutti dai Montanari. Ognuno portava qualcosa, c’erano tavoli e sedie per tutti.

I Metaurili che vivevano in una casetta di non più di 60 mq, spesso affittavano uno spazio presso una delle coloniche, per organizzare feste e pranzi di famiglia, soprattutto se, come i matrimoni, capitavano nella brutta stagione. Era tipico infatti sposarsi al principio dell’inverno, terminata la raccolta dei pomodori ed entrati finalmente nella meritata tregua dell’inverno, con il gruzzolo di novembre pronto da spendere per la festa.

Colonica Montanari: il capanno, e gli alberi nel retro della casa dai quali pendeva l’enorme altalena.

Anni Ottanta. Il Circolo Culturale Albatros ripropone la festa del Primo Maggio a casa Montanari.

Il contratto del mezzadro

Aratura presso la colonica Gentilucci

La mezzadria è il contratto in virtù del quale il concedente (il possidente) ed il mezzadro (o colono) si associano per la coltivazione di un podere al fine di dividere a metà i prodotti e gli utili. Ciascun podere comprendeva la casa colonica, le case degli aiutanti del colono, ed altri edifici di servizio (fienili, stalle, magazzini), e aveva un’estensione intorno ai 10 ettari di terreno. Il podere era un’azienda autosufficiente che portava avanti vari tipi di colture come la vite, l’olivo, gli alberi da frutta, il grano, l’erba medica per il bestiame. Parte dei prodotti del podere serviva a mantenere la famiglia del contadino e i suoi aiutanti; la restante parte spettava al proprietario del podere. Questo rapporto tra padrone e colono, che si affermò nel XV secolo, fu detto “mezzadria”. Il possidente ed il lavoratore del podere dividevano a metà gli utili, le perdite e anche le spese di conduzione del podere. Le regioni d’Italia in cui era maggiormente diffusa la mezzadria erano Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Veneto e Marche. La posizione del mezzadro era resa assai debole a causa dell’eventualità di rescissione immediata del contratto, qualora egli non rispettasse qualcuna delle disposizioni. La famiglia colonica doveva garantire, ad esempio, la forza lavoro sufficiente: poteva accadere quindi che il padrone allontanasse la famiglia colonica a causa di troppe nascite al femminile, o per dispetto, quando qualche figlio maschio, invece di garantire la continuità  della cura del fondo, preferiva lo studio al lavoro nei campi. Nel 1947 il rapporto tra colono e proprietario del podere è stato modificato tramite un accordo sindacale detto “tregua mezzadrile”, per mezzo del quale si è spostata la quota di riparto da 50 a 55% a favore del mezzadro. Nel 1964 tale riparto si è ancora modificato:  il 42% al proprietario e il 58% al mezzadro. Nel 1982 infine si è giunti all’approvazione di una legge che prevede entro determinati limiti, la trasformazione in contratti d’affitto dei contratti mezzadrili in corso. Un aspetto positivo da evidenziare,  è dato dal fatto che il mezzadro collaborava anche alla direzione dell’impresa che pertanto era gestita nell’interesse di entrambi.

Il contratto dell’ortolano

1939. Contratto di locazione Biagioni – orto 16

I rapporti che intercorrono fra il Comune di Fano e i singoli coloni sono regolati da uno speciale contratto di locazione nel quale sono precisati tutti i diritti e tutti i doveri di ciascuno di essi ai fini di una regolare conduzione delle colonie: in modo particolare a ciascun concessionario è fatto obbligo di incrementare e coltivare intensivamente il proprio lotto di terreno adottando all’uopo i sistemi suggeriti dalla tecnica e dalla buona pratica agraria. ln ogni caso il colono è tenuto a seguire le istruzioni e i suggerimenti che gli sono impartiti dal Comune di Fano a mezzo dei rappresentanti e funzionari di esso. Allo scopo di evitare l’onere derivante dal funzionamento di una apposita ed esclusiva organizzazione è stato fatto obbligo, ai singoli concessionari, di aderire al Consorzio Agrario di Fano per la esportazione dei prodotti, per l’acquisto dei semi, delle macchine e di ogni altro materiale agricolo. Il canone, di circa 1000£, verrà corrisposto in due rate che corrispondono ai due periodi di fine raccolta e quindi di incasso (maggio per i cavolfiori, novembre per i pomodori) per 30 anni (fino a quindi il 1969). [1939, Augusto Del Vecchio]

Il contratto dell’ortolano è quindi molto diverso da quello del mezzadro: il “padrone” è il Comune di Fano, e la casa è a riscatto. Gli utili appartengono al colono, al netto delle rate del riscatto. Deve in cambio dedicare la terra e la sua forza lavoro esclusivamente alla coltivazione di cavolfiori e pomodori, pena la rescissione del contratto. Il vantaggio era che la casa: se tutto andava bene sarebbe appartenuta nel tempo alla famiglia colonica. A differenza delle coloniche aveva inolltre la disponibilità della luce elettrica e del pozzo vicino casa. Lo svantaggio era invece sia culturale (l’ortolano non aveva libertà di manovra, doveva semplicemente obbedire, il mezzadro era invece co-imprenditore assieme al padrone) sia colturale (avendo un unico ettaro di terra l’ortolano non era in grado di differenziare la produzione tutelandosi dalle avversità).

Terminata la guerra il Sindaco Battistelli consente il riscatto dei lotti dopo soli 10 anni dalla stipula del contratto a fronte del pagamento di una congrua cifra a saldo. I Metaurili diventano così padroni della casa, della terra e finalmente imprenditori di se stessi.