Orto n. 103
Famiglia Principi
ANSELMO, L’ALLEVATORE DI NUTRIE
PRIMA DELL’ARRIVO A METAURILIA
Antonio, il capofamiglia, era nato a Cartoceto ed era cresciuto a San Cesareo. Era un maestro nelle potature e veniva chiamato come istruttore alla scuola Agraria di Villa Caprile. Ebbe 8 figli. Nel 1927 morì la moglie, e per alcuni anni nessuna donna si prese cura dei bambini. Per questo Anselmo, che era il più piccolo, non andò a scuola e rimase analfabeta.
Antonio si risposò dopo qualche anno con la levatrice di Bellocchi, Carmela Conti. Negli anni ’20 si fece coraggio, ed acquistò con 12.000£ 5-6 ettari di terreno alla Chiusa di Bellocchi. Dedicò una parte del terreno alla coltura dell’oppio, una piantina robusta che cresceva poco e produceva scarso fogliame, perfetta per appoggiare i tralci della vite. Ebbe un grande successo tanto da attrarre un possidente, disposto a comprare quell’allevamento di oppi per 10.000£. Antonio rifiutò, e rimase “fregato”. La crisi del ’29 si portò via tutti i suoi averi. I debiti e gli 8 figli da crescere lo portarono alla disperazione ed all’alcool.
ERA UNA CASA MOLTO CARINA…
Originariamente, nella nuova casetta di Metaurilia, c’erano 4 camere da letto: in una dormono Antonio e la moglie, in un’altra Anselmo e Nedina. Le altre due camere sono occupate da Arnaldo, fratello di Anselmo con la moglie Luisa Biondi: avevano ampliato la casetta con un corridoio ed altre 2 camere, e vivevano quindi a fianco. All’esterno, oltre al numero ed al fascio, c’era anche il porta bandiera di fianco alla porta d’ingresso.
Era una casa piena di odori diversi: le bestie, il fumo del camino, i salumi, i formaggi stesi ad asciugare su mensole appoggiate ai “barbacane”, nelle camere da letto.
La famiglia è arrivata ad accudire fino a 4 mucche ed 1 vitello. Avevano inoltre 1 asino per trainare l’aratro, ed il carretto.
I PRIMI TEMPI A METAURILIA
Antonio con 6 degli 8 figli
A Metaurilia la famiglia comincia una nuova vita. Antonio vi si trasferisce nel 1937 con gli ultimi 4 figli, buone braccia da lavoro. Mentre i figli lavorano nell’orto, lui va all’osteria. A poco a poco i figli crescono ed alcuni se ne vanno. Rimane Anselmo, il più piccolo, fino allo scoppio della guerra.
Anselmo viene inviato in Iugoslavia come attendente del capitano Braccioni di Urbania, con una missione speciale: proteggere la Regina Elena, moglie del Re Vittorio Emanuele III, originaria del Montenegro. Anselmo vive un buon periodo ed a ritagliarsi del tempo per coltivare orto e giardino della Regina, catturando anche le attenzioni ed i complimenti del principe Pietro, fratellino dodicenne della Regina.
Durante una licenza, nel settembre del 1942, Anselmo sposa la findanzata Nedina Tomassoni di Caminate. Gli sposi vivono un periodo sereno tra una licenza e l’altra. Ma durante la licenza dell’agosto del 1943 Anselmo ha un brutto presentimento. “In quei pochi giorni con la mia adorata ho cercato di dire e fare cose che rimanessero impresse nella nostra memoria tanto era il mio disagio interiore. La sera prima della mia partenza ci siamo inginocchiati affinchè Dio ci donasse il coraggio per affrontare quello che poteva essere l’ultimo distacco e vedendo in cielo una stella cadente ho espresso il desiderio di tornare a casa sano e salvo”.
LA PRIGIONIA
Pochi giorni dopo, il 9 settembre 1943, l’Italia firma l’armistizio. I soldati italiani si ritrovano al fianco dei soldati tedeschi, amici fino al giorno prima, oggi nemici. Anselmo coi suoi compagni tenta la fuga ed il ritorno clandestino in Italia, ma viene catturato dai tedeschi e deportato in prigionia in Germania, dove “fui costretto ai più tremendi soprusi”. Il campo di prigionia fu liberato dai Russi soltanto 2 anni dopo. Anselmo, denutrito, disidratato, congelato e con un blocco polmonare viene trasferito in un ospedale da campo e curato nel corpo e nello spirito. Gli viene recapitata, con due anni di ritardo una lettera dell’adorata Nedina che gli annuncia felice la nascita del loro primogenito Alfio.
Anselmo freme, ha fretta di ritornare a casa e riabbracciare la sua cara sposa ed il piccolo Alfio, che immagina “forte e bello come mi sentivo io quando ancora la guerra non aveva distrutto tutta la mia dignità”. Si fa dimettere, fa l’autostop per tornare a casa. Lungo il cammino “mi sono fermato per comprare dei giocattoli a mio figlio, del tabacco per mio suocero, e un piccolo dono alla donna che con tanto amore mi aveva atteso”.
Ma una donna lungo la strada lo guarda con tristezza turbandolo. Anselmo si avvicina e chiede spiegazioni. “Povero ragazzo, tuo figlio è morto ed anche tuo suocero”. Anselmo sconvolto raggiunge la casetta n. 103, e non solo non trova il bambino, ma neanche la moglie. Nedina è tornata a Caminate, disperata per la perdita del bambino, e per la mancanza di notizie del marito. Arrabbiata con la vita, Nedina non vuole più tornare sotto il tetto coniugale.
Con molta tristezza e dolore, ma senza indugio, Anselmo inforca la bicicletta e raggiunge Nedina a Caminate. Ma l’incontro non va come da Anselmo sperato! Nedina non lo guarda, gli occhi assenti. Con voce distaccata gli racconta di quel figlio bello e forte, minato dalla polmonite, del padre ucciso mentre cercava di bonificare la strada dalle bombe.
UN AMORE PIU’ FORTE DELLA MORTE
“Mentre parlava avvertivo che in fondo al suo cuore la fiamma dell’amore era ancora accesa e che serviva alimentarla con pazienza e amore. Le ho detto che per il momento il mio amore bastava per tutti e due e che quando si sarebbe sentita pronta poteva tornare da me nella nostra casa”.
Anselmo non si da per vinto e ricomincia tutto da capo. Tutti i giorni si reca da lei, si raccontano lo strazio vissuto, la quotidianità presente. E pian piano riprendono a fare progetti insieme. Dopo alcuni mesi le preghiere di Anselmo vengono esaudite. Nedina torna a casa e la loro vita insieme ricomincia!
Nel 1948 nasce Eliseo Alfio, e nel 1953, Alfio. Nedina non può e non vuole dimenticare quel loro piccolo angelo.
Anselmo e Nedina coi piccoli Eliseo Alfio, ed Alfio
NOCETTE E STORNAROLI
Anselmo con i suoi cani da caccia
Anselmo ama la caccia e con l’amico Bruno Vagnini (il farmacista di Bellocchi) che abita alla Cupa, vanno nel podere dei Paci a fare la “nocetta”: una capanna di frasche circondata da 3 metri di prato ben rasato. Nel prato viene scavato un piccolo laghetto e poste delle esche raffiguranti degli uccelli. Su un asta mettono una civetta (vera), ed Anselmo attacca con versi e fischi. Ci sa fare. Ha un fischietto di terracotta, lo “stornarolo”, che come il flauto magico, non perdona. Nascosti nelle frasche Anselmo e Bruno sanno che prestissimo allodole ed altri uccelli cadranno nella trappola.
Anselmo ha il compito di preparare la nocetta anche al sor Momo Solazzi, di là della ferrovia, presso il casello ferroviario, dove allora la terra si estendeva fino al mare per centinaia di metri. Il sor Momo cacciava, e poi Anselmo la sera rimetteva tutto a posto.
L’ALLEVAMENTO DI NUTRIE
Nei primi anni ’50 Anselmo ha un’idea geniale: allevare castorini da carne e da pelliccia. Castorini detti anche più comunemente “nutrie”. La carne va al Cante di Montevecchio, la pelliccia viene ritirata da conciatori di Milano e Torino. Ogni coppia di castorini, e la loro nidiata di 10-15 cuccioli, ha un box con tutti i comfort: lettiera, solarium, e piscina! E guai se l’acqua non è limpida: le nutrie si mettono a strillare e finchè non la cambi è un concerto.
Anselmo allestisce fino a 30 box. Ortolano sì, cacciatore sì, ma ancor di più allevatore.
Gli affari vanno assai bene per molti anni, ma un bel giorno, dopo una decina d’anni, muoiono a ruota tutte le nutrie. Avvelenate dall’invidia dei vicini, molto probabilmente. Dopo il primo sconcerto Anselmo, in società col suo amico di militare Emanuelli, e col co-finanziamento del padre, che gli dà tutti i suoi risparmi, acquista due visoni, che promettono un lavoro analogo, ma con un più alto rendimento. Tempo 20 giorni e l’invidia avvelena anche loro.
A quel punto Anselmo decide di costruire nel podere un edificio da destinare a latteria, armeria e distributore. L’edificio in cui, diversi anni dopo nasce “Il Cacciatore”, il ristorante che Eliseo, figlio di Anselmo, e la moglie Natalina seguiranno personalmente e con successo per anni.
Anselmo tra le gabbie del suo allevamento di nutrie