Orto n. 41

Famiglia Tonucci (Caplàcc)

IL CASELLANTE ORTOLANO

PRIMA DI METAURILIA

Augusto Tonucci (1886) e Spinaci Marcella hanno 3 figli: Gina (1910), Volturno (1913) e Bruno (1918). Augusto fa il  casellante sulla linea Fano-Urbino  e le ferrovie spostano lui e la famiglia ora in un casello ora in un altro. Gina è nata nel casello vicino a Piazza d’Armi e Bruno in quello di Rosciano.L’ultima tappa di questo girovagare è Carrara.

Purtroppo quando il piccolo Bruno ha solo pochi mesi, Marcella muore di spagnola, come tanti allora, soprattutto donne. E’ il 2 novembre 1918, il giorno della Commemorazione dei Defunti. Augusto si ritrova solo con tre piccoli da crescere e non perde tempo. Dopo pochi mesi si risposa con Quinta Filippini, di Cartoceto. Già nei primi mesi del 1920 hanno tra le braccia la piccola Marcella, cui viene dato il nome della prima moglie defunta. Poi nel 1925 nasce Dario e nel 1928 Guido. Quinta è una donna coraggiosa, robusta ed energica, colei che tirerà avanti tutta la famiglia.

Nel 1931 circa Augusto accusa grossi dolori alla schiena che gli impediscono di proseguire il suo lavoro. Viene quindi pensionato alla bella età di 48 anni , con una pensione modesta. E da lì, dal casello, se ne devono andare. Augusto non sa bene come fare con una famiglia così numerosa. A Fano alcuni parenti hanno una casa in via Gasparoli, ma è in condizioni fatiscenti, e lui il manovale di certo non può farlo.

Quinta, la seconda moglie di Augusto Tonucci

I PRIMI TEMPI A METAURILIA

 Augusto Tonucci

Nel 1934 sta per nascere la Borgata Rurale di Metaurilia. I fratelli di Augusto sono i “Caplacc” del Bersaglio, noti ed apprezzati ortolani, iscritti al Partito. Suggeriscono ad Augusto di fare domanda. Col nome che porta una casa ed un orto glielo avrebbero certamente dato.

Così il 28 febbraio del 1935 Augusto e Quinta, con quattro dei sei figli (Gina si è sposata e Volturno è soldato),  si trasferiscono a Metaurilia. Al freddo ed al gelo, senza legna. Con un terreno tutto da dissodare nella miseria più fonda. La casa è senza soffitto: travi a vista, tavole e coppi. E la bora che si infila tra le travi. Solo dopo il passaggio del fronte verrà messa della canniccia e del gesso per soffittare. Lire non ce ne sono, ma lavoro a volontà. Per dare un po’ di sapore al pane, si sfrega nel pesce messo a seccare sopra il camino.

La famiglia Tonucci condivide il passo con i Lumachi  dell’orto 42, ed il pozzo con i Talamelli dell’orto 40.

VITA COI CAVOLI…

Con grande impegno e fatica ad aprile si semina pomodori(tanti) e grano (poco) e prende il via la nuova vita da ortolani.

Ma non sempre va bene ai cavolfiori, che temono le gelate. Un inverno fa talmente tanto freddo che il Podestà distribuisce della nafta da bruciare per scaldare la casa? Eh no! Per stiepidire  l’aria dei cavoli nel campo!

Nel tempo di raccolta dei cavolfiori,da gennaio ad aprile, si va nel campo scalzi, perché non ci sono soldi per comprare gli stivali, e gli zoccoli nella malta sono inutili.
Quando piove si va nel campo col sacco del concime in testa e sulle spalle. Dopo un po’ non si regge più da quanto è pesante e fradicio.

Quando i cavoli sono presi d’assalto dalla farfalla cavolaia il consorzio distribuisce agli ortolani un veleno per combatterla .

I campi si irrigano con l’orcio di zinco, che si va a riempire nelle vaschette e si porta a mano, piantina dopo piantina, fila dopo fila, per 20.000 piantine. E’ questo un compito spesso affidato ai bambini. Una volta Dario ha un orcio nella destra e uno nella sinistra, gli zoccoli ai piedi, tutti immaltati. Appoggia il piede al cemento della canalina di irrigazione, riempie gli orci dalla vaschetta. Ma il peso degli orci e soprattutto la malta ai piedi lo fanno scivolare rovinosamente e giù nell’acqua della vasca con orci e tutto”.

In casa non c’è l’acqua corrente e si va quindi a prenderela al pozzo con l’orcio di coccio. Quegli orci di coccio pesano un bel po’ già da vuoti. Una volta anche Quinta scivola e cade. Dario accorre e le chiede premuroso: “Vi siete fatta male?” (si dava del voi quella volta ai genitori). La mamma tutta acciaccata e preoccupata risponde: “L’orcio s’è rotto?”.

Nel 1936 il Duce visita anche questa famiglia. Entra in casa con alcuni della milizia, accarezza Dario sulla testa, si dirige ai fornelli, alza il coperchio della pentola sul fuoco, prende una forchetta ed assaggia le patate che stanno lessando. Quindi tira fuori il rotolo di soldi e taglia 100 lire a figlio, poi se ne va a ripetere gli stessi gesti nelle case vicine. L’anno successivo Augusto è tra i Metaurili prescelti per recarsi a Roma a consegnare i chiariscuri di Giorgio Spinaci al Duce.

Le braccia di Volturno e di Bruno sono presto richiamate alle armi. Bruno partito nel 1938 di leva per Taranto viene poi fatto prigioniero in Tunisia. Tornerà a casa solo nel 1946. Nei primi anni mancano uomini in forze in questa famigliae la produzione ne risente.

Gli zoccoli con le “broccle”

…E VITA DA SCOLARO

Canaline e vasche per l’irrigazione

Dario, il più piccolo,  è un monello: nei campi è più il fastidio che dà che l’aiuto. E’ spaesato. Non conosce nessuno. Ha fatto a Carrara la prima, la seconda e metà terza elementare. In corsa completa la terza al Ponte Metauro, ma viene bocciato dalla maestra Caselli.

L’anno seguente la maestra Cardelli finalmente lo promuove e Dario va a fare la quarta a Torrette con la maestra Pettinari. Malgrado la promozione Augusto fa ripetere la quarta al figliolo, perché potesse essere maggiormente preparato per affrontare la quinta al Corridoni.

Dario parte alle 7 della mattina a piedi per raggiungere la scuola, con una borsa di stoffa e dentro un libro ed un quaderno. Sole, neve, vento che fosse. Ai piedi gli zoccoli di legno con le “broccle”, cioè dei chiodini con la testa grossa per non consumare la suola.

Il maestro Pascucci, che è buonissimo, l’ha preso a ben volere.

Orcio di coccio

DI BOMBA IN BOMBA, DI CASA IN CASA

Durante i bombardamenti Augusto ha scavato un rifugio sotto il dosso della ferrovia, pensando di essere al riparo dai colpi che sembravano provenire dal mare, dalla marina inglese. Al principio dell’estate furono costretti a sfollare ed andarono presso la colonica di Speranzini, quindi oltre il Ponte Metauro, poi a Caminate, con una povera carriola carica di biancheria e delle poche cose che possedevano. Quindi ancora altro trasferimento a Santa Croce da Nisca che ospita loro ed altre 40 persone negli ultimi 4 giorni di guerra.

Passato il fronte Dario ed un amico vengono inviati in avanscoperta da Santa Croce a Metaurilia per vedere se si può tornare a casa. Per strada trovano un carrarmato tedesco incagliato nel fango e abbandonato. Tutto intorno tanti curiosi. Per sbaglio qualcuno tocca un filo ed implode una mina facendo una colonna di fumo e tanto rumore. Uno spavento terribile, per fortuna senza gravi conseguenze.

Dopo la guerra Augusto e Quinta si danno da fare e fanno la piazza con l’Ape. Volturno lavora come il babbo nelle ferrovie, e Bruno fa il muratore in quei primi tempi a Mondavio, dove si stava costruendo la chiesa. Ogni giorno inforca la bicicletta e raggiunge pedalando il luogo di lavoro.

Dario e Lidia il giorno delle nozze

MATRIMONI E FUNERALI

Un brutto giorno che manca poco a Natale, è il 22 dicembre del 1952, Augusto, sta tornando  in bicicletta da Carrara dove è andato, come tutti i mesi, a ritirare la pensione, viene investito di spalle dall’unico camion della giornata (tanto era scarso allora il traffico motorizzato) e perde la vita.

Dario sposa nel 1954 la vicina di casa dell’orto 40, Talamelli Lidia, una compagna di giochi del fratello Guido che piano piano conquista il suo cuore.
Dario inizia a lavorare allo Zuccherificio subito dopo l’inaugurazione. Oltre alla campagna estiva viene incaricato anche della manutenzione. Si trova così impegnato per 7-8 mesi all’anno e l’orto diventa un’attività residuale.

Nel 1955 nasce Franco. Dieci anni dopo Lidia andrà su tutti i giornali per un evento veramente eccezionale: darà alla luce tre gemelli. Purtroppo il maschietto morirà dopo poche ore. Le gemelle invece porteranno una ventata di allegria a questa famiglia duramente messa alla prova dagli eventi della vita.

Lidia con il primogenito Franco

UNA SINGOLARE STORIA D’AMORE

Marcella, terminata la guerra, si innamora perdutamente del coetaneo Alberto Montanari, il carismatico capo della Squadra Partigiana di Metaurilia, che abita con la numerosa famiglia in una colonica sopra il greppo . Gli invia sue fotografie con saluti e parole affettuose. Alberto risponde tiepidamente al suo amore e si impegna in politica. Vita dura per i comunisti all’epoca, difficile trovare lavoro. Quando nel 1948 le elezioni politiche sanciscono la vittoria della Democrazia Cristiana Alberto, sconfitto e deluso, senza arte nè parte, decide di lasciare tutto e cercare fortuna in Argentina. Le pratiche per partire sono lunghe, ma finalmente, nel maggio 1950 s’imbarca lasciando tutti, e lasciando la stessa Marcella, ormai trentenne, senza alcuna promessa.

Dopo anni di silenzio  Alberto e Marcella riprendono a scriversi. E’ il 1954 e ben presto decidono di sposarsi così da permettere alla ragazza, ormai donna fatta, di raggiungerlo in Argentina. Il matrimonio avviene per procura nel marzo del 1955. Marcella si avvia all’altare con al braccio un fratello del suo sposo, Giuseppe.  Un paio di mesi dopo parte, sola, per raggiungere il suo sposo. Dopo i primi tempi felici e pieni di speranza, le cose non vanno come sperato. Gli sposi perdono tutti i loro beni a causa dell’inflazione e dei disordini politici argentini. Dopo neanche un anno decidono di tornare in Italia. Marcella partirà per prima, perchè incinta. Rifarà quindi il viaggio in nave da sola. Alberto la raggiungerà quando avrà riscosso i soldi che i datori di lavoro gli devono. Dopo pochi giorni dal suo arrivo Marcella, provata dal viaggio, perderà il bambino. Alberto aspetta mesi invano. Alla fine, stanco di attendere compra il biglietto grazie alla generosità di un cugino che vive in Argentina, e torna a Metaurilia anche lui. E’ il gennaio 1957. Così scrive, umiliato, a Marcella, prima di partire: “Sbarcherò a Genova il primo febbraio. Non mi aspettare alzata perchè arriverò di notte. Mi vergogno troppo!”.

Marcella e Alberto felici insieme in Argentina

ANCORA UN ALTRO NATALE DI VITA E DI MORTE

A Metaurilia, nella grande casa colonica dei Montanari, gli sposi cominciano una nuova vita. Alberto si adatta a lavorare per la ditta di Adamo Iacucci intrecciando i fili di metallo che vanno a formare la rete a fori graduali della macchina calibratrice. Marcella in marzo è nuovamente incinta. Il tempo si compirà a Natale. Ma le stelle quei giorni sono girate dall’altra parte.

E’ il 22 dicembre 1957, il parto è vicino. Alberto è in motorino e percorre il bel filare di gelsi che da casa Montanari porta alla Statale Adriatica. Quando attraversa per andare in direzione Fano è un attimo. Un’auto in corsa spegne per sempre la sua vita e la speranza di un futuro migliore.fatalità  5 anni esatti dopo l’incidente mortale di Augusto, il babbo di Marcella.

Alberto muore il giorno successivo, a soli 38 anni. Il 24 dicembre, mentre tutta la borgata prepara la cena di Vigilia ed il brodo per il Natale, le famiglie Tonucci e Montanari si stringono intorno alla bara di Alberto nella chiesa di San Leonardo in via Cavour, per l’estremo saluto. Marcella non c’è, non può. Dal capezzale del marito è passata direttamente alla sala travaglio del Santa Croce.  Lidia ad un certo punto del funerale lascia tutto e corre da Marcella: sente che i vivi, più che i morti, hanno ora bisogno di conforto!

Nasce una bambina cui inevitabilmente viene dato il nome di Alberta.

La piccola Alberta sotto il moro di casa Montanari

Lidia con Franco e le gemelle, e la nipote Alberta